Oggi ho ucciso un cane.
Un cane vecchio, sordo ed anche zoppo.
Ma un cane vivo.
Ora non lo è più.
La peggiore sensazione che finora abbia provato nella vita.
Non un cane qualsiasi, uno amico.
Sarebbe stato già abbastanza penoso investire un cane sconosciuto.
Così è stato terribile.
Era un cane comune.
Taglia piccola, pelo raso, marrone, chiazza chiara sull'addome,
muso e coda allungati, orecchie flosce, gambe storte.
L'archetipo del cane.
Mi veniva intorno, scodinzolando.
E sorrideva.
Aveva gli occhi che sembrava sorridessero.
Anzi, sorridevano sicuramente.
Un cane mite. Non un animale addomesticato.
Si vedeva che era autonomo, uso ad una civile convivenza con
gli umani, coabitanti di uno stesso mondo.
Viaggiava da solo, anche se portava un collare.
Padrone della sua vita.
Non era mio.
Forse, non era di nessuno, anche se portava il collare.
Forse, era lui il proprietario di un uomo.
Da qualche anno veniva a fare visita al Retriever di mio fratello.
Si facevano compagnia.
Da quello che ho visto in questi anni, penso che l'amicizia
tra cani sia più solida di quella tra gli uomini.
Diversissimi, sia per aspetto che per indole. Ma amici.
Si scambiavano visite reciproche, tutte le volte che potevano.
Più d'una volta era rimasto ospite per diversi giorni nel
nostro giardino, senza preoccuparsi del suo uomo solo a casa.
Felice di quel soggiorno.
Col tempo, anch'io ero stato degnato della sua considerazione.
Mi guardava, si avvicinava scodinzolando.
Comunicava di non temerlo, sapeva che ero un uomo del suo
amico e che non voleva aggredirmi, i cani amano gli umani,
sono i migliori amici dei cani.
Non ero suo, ma gli ero affezionato.
Un cane simpatico, quello stupido vecchio cane sordo.
Io non sapevo fosse sordo, fino ad oggi.
Quando sono arrivato a casa con mio figlio, alle quattro del
pomeriggio, il cane era seduto davanti al cancello. Aspettava
qualcuno che aprisse il cancello, per entrare. Ho sottolineato
a mio figlio che ci stava aspettando per far visita al suo
amico.
Ho azionato il comando elettrico.
Come si è aperto un varco sufficiente, il cane si è infilato
nel vialetto del nostro giardino.
Io ho atteso che si spalancasse completamente.
Ho visto i due cani che giocavano tra loro ad una decina di
metri avanti a me.
Ho salutato attraverso il vetro mia madre che stava annaffiando
i fiori.
A passo d'uomo ho imboccato il selciato per parcheggiare la
mia auto sotto la tettoia.
La mia stupida automobile: troppo alta, troppo grossa e troppo
potente per accorgersi di un piccolo cane.
Con la coda dell'occhio vedevo il cane di mio fratello distante
un paio di metri alla mia sinistra. Procedevo tranquillo.
Uno stupido e debole e sordo e zoppo guaito mi ha fatto bloccare
l'auto.
Cristo, devo aver schiacciato una zampa al cane.
Sono balzato fuori dall'abitacolo: il cane guaiva più forte
sollevando la zampa anteriore destra verso l'alto, sdraiato
sul vialetto.
Mi dispiace. Devo portarlo dal veterinario. Probabilmente
ha una zampa rotta.
Vedo mia madre immobile che guarda il cane senza soccorrerlo.
Non azzarda neppure un passo. Non capisco. Anche lei è affezionata
a quel cane.
Poso di nuovo lo sguardo sul cane. Guaisce più forte. Sembra
che stia peggio, in pochi secondi.
Gli sei passato sopra con le ruote balbetta mia madre.
Continuo a guardare quello stupido, vecchio, caro povero cane.
Continuo a non capire. Non perde sangue, sembra integro. Peggiora
rapidamente.
Sì, è rimasto schiacciato dal pneumatico anteriore e poi da
quello posteriore, continua lei, l'ho visto io. Quando mi
sono accorta che era sulla tua traiettoria ho provato a chiamarlo,
ma è sordo.
E' un cane vecchio e sordo... Sordo.
Non lo sapevo.
Ora lo so.
Ora che non serve più.
E' agonizzante. Le sue fauci mordono l'aria che non vuole
più entrare nei suoi polmoni. Ha gli occhi sbarrati. Non guaisce.
Non respira più, il suo torace si contrae in alcuni spasmi.
Non ho avuto nemmeno il tempo di metterlo in auto per tentare
una corsa da un amico veterinario, mi è morto tra le mani.
Dolore e nausea.
Dolore e lacrime.
Quanto è che non piangevo? Non ricordo.
Non ho neppure avvertito il sobbalzo della mia alta, grossa,
potente e stupida auto sopra il suo corpo. Niente. Troppo
piccolo, per quel concentrato di ferro, muscoli e potenza
del ventesimo secolo.
Ho pianto per un'ora.
Mio figlio mi ha guardato per un po'.
Si è rintanato nella sua camera.
Ora devo tornare al lavoro. E' tardi.
Non sapevo neppure quale fosse il suo nome.
Non me lo aveva mai detto.
Non eravamo ancora così in confidenza
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