C’era
una volta una bellissima cascina, circondata da alberi
e colline verdi; in mezzo al prato c’era perfino una cavalla,
che placida, brucava l’erba rigogliosa.
Al centro del grande giardino, proprio vicino ad un albero
di pesche, sorgeva un capanno, fatto di assi di legno;
“è il gattile”, mi comunicò la signora dall’accento spagnolo,
che dirigeva l’associazione e che mi faceva da guida;
è “il ricovero temporaneo per i gatti che, una volta curati
e rifocillati, sono pronti per nuove famiglie” aggiunse.
Ma con mia grande sorpresa non trovai gatti in attesa
di nuove famiglie, ma una dozzina di animali, malati,
denutriti e deboli, che bevevano acqua marrone in ciotole
luride, che mangiavano (quando capitava) su improbabili
piatti incrostati e che erano costretti ad usare lettiere
straripanti di urina e feci.
“Sono adulti, non li vuole nessuno”, disse il mio cicerone
e intanto tutt’intorno si respirava un aspro fetore di
urina.
Sul retro della cascina, lontano da occhi curiosi, incontrai
i cani; erano tenuti alla catena sotto il sole estivo.
E le catene che circondavano quei colli magri erano così
corte, da impedire qualsiasi possibilità di nutrimento.
Ma se anche fossero state più lunghe, poco sarebbe cambiato;
i contenitori dell’acqua, ex barattoli di plastica per
pittura, erano rovesciati per terra, pieni di foglie e
terriccio. E sparsi intorno, c’erano piatti di carta,
coperti di mosche che litigavano fra di loro, per accaparrarsi
i resti del cibo dei giorni precedenti, ormai in avanzato
stato di decomposizione.
“Sono alla catena perché scappano”, mi disse; “rovesciano
sempre le ciotole dell’acqua e non posso trascorrere la
giornata a riempirle” continuò; “lo so che il cibo sotto
il sole non è il massimo, ma se hanno fame, mangiano lo
stesso” aggiunse.
Mi disse poi “vieni a vedere i cani appena arrivati” ed
entrai nei box al coperto; varcata la porta, fui costretto
a fermarmi a causa del fetore che opprimeva la grande
stanza; poi una volta abituato, incontrai occhi scuri
di cani. Mi guardavano terrorizzati.
Gli angusti box erano così sudici che non si distingueva
neppure il colore del pavimento e le griglie di scarico,
nate per far defluire l’acqua durante la pulizia e poste
al centro del pavimento, erano totalmente incrostate e
intasate da vecchia segatura e peli.
“Oggi non ho ancora fatto in tempo a pulire” mi disse,
forse scorgendo i miei occhi pieni di orrore e disperazione.
“Sono quasi tutti adottati”, rispose in fretta, quando
comunicai l’intenzione di prenderne uno, quello bianco
e marrone, con un occhio chiuso a causa del pus; “a giorni
partiranno per l’estero, ci sono delle ottime famiglie
che li aspettano”, aggiunse con una certa punta di orgoglio.
Che sollievo fu scoprire che per quegli animali la vita
riservava finalmente una seconda occasione, ma che confusione
mi colse, quando la mattina seguente venni a sapere che
quasi tutti i cani erano partiti alla volta della Germania
e della Svizzera, caricati su un furgone nel cuore della
notte.
Tornai il pomeriggio seguente e fui aiutato dalla buona
sorte; non trovai la signora spagnola, c’era sua figlia,
avrà avuto si o no 15 anni e gestiva l’associazione quando
la madre partiva per la Spagna, stando via anche una settimana
intera.
Le chiesi informazioni su Ruby, il cane bianco e rosso
con l’occhio chiuso a causa del pus e, con mia grande
sorpresa, vidi che era ancora lì.
“Non c’era più posto sul furgone, partirà settimana prossima”,
disse la ragazzina.
A volte nella vita accadono momenti che non si possono
spiegare, che durano un attimo, ma è proprio in quel breve
lasso di tempo, che si compiono imprese in grado di stravolgere
l’ordine degli eventi e cambiare per sempre ciò che era
stato scritto.
Fu proprio ciò che successe: non so quale forza atavica
mi spinse a farlo, ma mi ritrovai a dichiarare con decisione
e naturalezza: “devo dedurre che non sei informata, sono
qui per adottare Ruby, strano che tua madre abbia dimenticato
di dirtelo”, mettendole in mano una banconota da 50 euro;
e aggiunsi con tono stizzito “e questi sono per l’associazione”.
Senza darle il tempo di riflettere, presi il cane in braccio,
la salutai e me ne andai. Il cuore mi batteva all’impazzata
e per diversi chilometri continuai a guardare lo specchietto
retrovisore della mia automobile, per controllare che
nessuno mi inseguisse. In auto Ruby impazziva di gioia,
la sua euforia mi sembrò anche un po’ esagerata, ma a
distanza di tempo, sono convinto che fosse il suo sesto
senso a comandare ed ero io ad aver capito poco.
Nei mesi successivi scoprii che da anni decine di cani
erano stati registrati all’anagrafe canina a nome della
signora spagnola e che tutti, dopo un certo periodo, sparivano
nel nulla e mai nessuno si era preoccupato di interrogarsi
sulla loro sorte.
Venni a sapere poi che, fino a 2 anni prima, anche i gatti,
che giungevano nella bellissima cascina, venivano adottati
all’estero e caricati sul furgone nel cuore della notte.
Curai Ruby e lo affidai ad una allegra famiglia con 3
figli; cercai poi di reperire informazioni sulla sua storia,
qualcosa che mi facesse conoscere la sua vita prima di
giungere all’associazione, che fa adottare i cani all’estero.
Ma non fu facile; indizi, notizie, tutto era frammentato
e confuso e sembrava essere un cane senza passato. E proprio
quando pensavo di non riuscire a venire a capo di niente,
mi giunse una lettera. Era scritta da una persona che
conosceva Ruby.
“…Ruby è nato in una nebbiosa città del nord Italia
e ha trascorso i primi due anni di vita insieme ad una
coppia di coniugi in un appartamento in periferia; i primi
tempi tutto è filato liscio, poi i suoi “padroni”, che
gestivano un’attiva commerciale, si videro costretti a
dichiarare fallimento ed a cessare l’attività per problemi
economici. Non potendo rimanere disoccupati per troppo
tempo, accettarono un lavoro a circa 300 km dalla propria
abitazione e cominciarono ad assentarsi per due, tre giorni
e con il passare del tempo, per sette, otto giorni, fino
a rimanere via per periodi di due settimane.
Ruby durante le loro trasferte, veniva lasciato sul balcone
di casa, legato alla catena (era più sicuro per il cane,
dicevano), con due catini riempiti di acqua e un secchio
di croccantini come unico sostentamento; il balcone non
aveva una tettoia, ne un riparo e nei giorni di temporale
o di neve il cibo si bagnava e nei giorni di afa si copriva
di mosche; e l’acqua o si sporcava o finiva.
Ruby trascorse quasi 4 mesi nella più completa solitudine,
incontrando i suoi “amici” umani ogni 10-15 giorni. Sono
stati i vicini di casa, (io sono uno di loro) a dare l’allarme,
chiamando un’associazione animalista, stanchi di vedere
il cane abbandonato a se stesso e convinti che non fosse
più tollerabile continuare a nutrire una bestia, buttando
pezzi di pane sul balcone o puntando sullo stesso la canna
dell’acqua, per farlo bere.
Quando Ruby venne “salvato”, pesava circa due chili e
mezzo e a mala pena era in grado di reggersi sulle zampe;
fu trasportato in una clinica veterinaria, dove rimase
ricoverato per 5 giorni. La sua incredibile storia divenne
in breve tempo di dominio pubblico in città e in quei
giorni ricevette visite e coccole da molti curiosi. Una
volta ristabilito, venne richiesto dall’associazione della
signora spagnola, perché aveva molta richiesta dall’estero…
“
Ho tentato diverse volte di buttare questa lettera, ma
non ci sono mai riuscito; una volta addirittura, per evitare
ripensamenti, sono sceso in strada e l’ho gettata nel
cestino davanti alla fermata del tram; poi la mattina
seguente, passando, ho sbirciato ed era ancora lì. Ho
capito che non era giusto cercare di sbarazzarsi di qualcosa
solo perché faceva male e che era necessario focalizzare
i pensieri sul presente e non sul passato. Ma è più facile
a dirsi, che a farsi.
Oggi Ruby è un baby-sitter professionista e tutti i giorni
trasmette alla sua nuova famiglia la gioia di vivere;
è diventato anche un cane viaggiatore, che va al mare
in estate e a sciare in inverno e ogni tanto, si gode
qualche fine settimana in Toscana.
La famiglia dove vive non si stanca di ripetere che la
sua vitalità celebra quotidianamente la forza di ricominciare
nonostante tutto e insegna che, anche dalle vicende più
dolorose, si può trovare il vigore per cominciare di nuovo,
senza perdere la speranza e la fiducia di giorni futuri
pieni di colore e allegria. Ma sono anche consapevoli
che non è un cane perfetto; bisogna stare attenti quando
sente qualcuno parlare in spagnolo o con accento iberico;
diventa ingestibile e a fatica si riesce a farlo smettere
di abbaiare e di ringhiare. Ma è un difetto comprensibile.
E’ imbarazzante solo per chi si trova a passare di lì
e si chiede che cosa avrà mai quel cane da abbaiare tanto.
Ho incontrato Ruby qualche volta, soprattutto per sincerarmi
che stesse bene; poi ho preferito smettere con le visite.
Durante i nostri incontri, non appena scorgeva la mia
automobile, cominciava a saltare per l’eccitazione e arrivato
al suo cospetto, dovevo prenderlo in braccio; dopo qualche
doveroso minuto di baci, appoggiava la testa sulla mia
spalla e si addormentava.
Quando me ne andavo, raggiungeva il grande terrazzo della
sua nuova casa e cominciava ad ululare alle nuvole. Mi
dicono che ha capito che l’ho salvato dal “furgone, che
nel cuore della notte carica gli animali e li porta all’estero”,
ma non cavalco l’onda; sono sempre stato severo con chi
antropomorfizza i comportamenti degli animali e non voglio
cadere nello stesso errore. Una cosa è certa: a distanza
di tempo, gli occhi sbarrati delle creature incontrate
quel giorno sono come un tormento e alcune notti mi rubano
il sonno; in quegli attimi mi chiedo come staranno, ma
devo smettere con queste domande, perché so che non ci
sono buone notizie. E inevitabilmente penso a tutti i
furgoni e a tutti gli animali che ogni anno spariscono
nel nulla e all’impossibilità di fermare questo scempio.
I miei pensieri vanno allora a Ruby, alla sua coda impertinente
portata come un pennacchio, ai suoi occhi vivi e profondi
e alla sua testa bianca, che si piega leggermente a destra
quando qualcuno gli parla; cerco di ricordare la sua camminata
un po’ sghemba con la gallina di lattice nella bocca e
le sue buffe moine per invitare al gioco chiunque si trovi
nei paraggi e quanto ciò induca sempre nei presenti un’
allegria contagiosa.
E mi soffermo a riflettere su come le sue esperienze passate
lo abbiano trasformato sorprendentemente in un dono del
cielo per chi ha la fortuna di dividere la vita con lui
e quanto il suo amore incondizionato per tutto ciò che
esiste, sia vasto come un oceano.
E mi è chiaro perché da qualche tempo il nome “Ruby” sia
stato rimpiazzato da “Joy”, che in lingua inglese significa
“allegria, gioia”.
E allora, finalmente, riesco a sorridere.
Fonte FOCUS.IT